Uno sguardo alla causalità omissiva in ambito medico a 20 anni dalla sentenza franzese
Il caso riguarda la posizione di un medico ospedaliero condannato alla reclusione per aver cagionato la morte di una paziente colpita da “shock emorragico da rottura di aneurisma dell'aorta addominale” avvenuta la mattina successiva all’accesso in Pronto Soccorso.
Errore diagnostico e responsabilità penale del medico
La colpa dell'imputata veniva ricollegata alla scelta di un percorso diagnostico-terapeutico non corretto e non adeguato in rapporto alla sintomatologia dolorosa lamentata dal paziente “nonché per avere ritenuto l'esaustività dell'esito dell'indagine radiologica addominale, laddove l'effettuazione di una ecografia avrebbe consentito … di intraprendere un'adeguata terapia chirurgica presso una struttura ospedaliera dotata di reparto di chirurgia vascolare” (Cass. pen. Sez. IV, n. 2154, depositata il 19/01/2022). La Corte di Appello, nel confermare la condanna, prendeva atto della corresponsione da parte dell’imputata di € 740.000,00 a favore delle persone offese, con le conseguenti determinazioni in punto sospensione condizionale della pena, in primo grado subordinata alla concreta erogazione del risarcimento.
L’accertamento della causalità omissiva in ambito medico-chirurgico
Avverso la sentenza di condanna della Corte di Appello l’imputata interponeva ricorso in Cassazione contestando – tra l’altro – il fatto, condiviso anche dal Consulente Tecnico della Pubblica Accusa, che il tasso di errore nella diagnosi dell'aneurisma addominale è statisticamente molto elevato e che la diagnosi corretta ed il conseguente tempestivo intervento non avrebbero comunque assicurato la sopravvivenza del paziente stante il quadro clinico generale. Contestava inoltre che i dolori lamentati dal paziente fossero ragionevolmente compatibili con la diversa diagnosi da lei effettuata.
Ad avviso della difesa e dei suoi consulenti non solo non era dato sapere quale fosse lo stadio dell'aneurisma al momento della visita posta in essere dall’imputata presso il Pronto Soccorso, ma neppure può ragionevolmente escludersi che il paziente, se operato tempestivamente, non sarebbe comunque deceduto. In definitiva l’imputata contestava la carenza di prova “oltre ogni ragionevole dubbio che una condotta diversa dell'imputata avrebbe portato ad esiti differenti o meno gravosi” e per l’effetto chiedeva la riforma della sentenza di condanna non potendo ritenersi raggiunta in termini di certezza “la prova che una diversa condotta avrebbe evitato la morte o avrebbe prolungato la vita” del paziente.
Nel quadro storico-clinico-fattuale così riassunto, la Cassazione osservava – in linea con il costante indirizzo in materia – che “ai fini della prova giudiziaria del nesso di causalità non è decisivo il coefficiente percentuale più o meno elevato di probabilità empirica desumibile dalla legge scientifica di copertura utilizzata; ciò che conta è che si possa ragionevolmente confidare nel fatto che la legge statistica in questione trovi applicazione nel caso concreto oggetto di giudizio stante l'alta probabilità logica o credibilità razionale che siano da escludere decorsi causali alternativi. Anche una bassa probabilità statistica di verificazione dell'evento può essere compensata da un'elevata probabilità logica di verificazione dello stesso, laddove si escluda l'esistenza di decorsi causali alternativi”.
Pur essendo chiaro e ormai condiviso che il canone di accertamento della causalità omissiva non sia di tipo quantitativo ma qualitativo, è il caso di notare che nel caso specifico la condotta doverosa (omessa) era connotata da una percentuale di successo ritenuta particolarmente elevata: “esclusi processi causali alternativi, la diagnosi corretta avrebbe reso possibile l'intervento chirurgico di urgenza che, avendo riguardo alle condizioni cliniche stabili del paziente, avrebbe assicurato una possibilità di sopravvivenza dell'80%” (Cass. pen. Sez. IV, n. 2154, depositata il 19/01/2022, fonte De Jure). Il ricorso è stato quindi respinto e la ricorrente è stata ulteriormente condannata al pagamento delle spese processuali, oltre che di quelle a favore dalle parti civili costituite.
Il più recente approdo giurisprudenziale in materia di causalità omissiva in ambito medico
In questo diverso caso la Corte di Cassazione, denunciando il “malgoverno” del diritto da parte dei giudici di merito, ha invece annullato la sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello – conformemente alla pronuncia di primo grado – a carico del primario e del capo-equipe del reparto di chirurgia generale per la morte di un paziente.
I principi cardine della materia (dei quali, in questo specifico caso, i giudici di merito non avrebbero tenuto conto) sono ricavabili dalla celebre e insuperata sentenza Sezioni Unite Penali, n. 30328 del 10/7/2002, Rv. 222138, nota come “Sentenza Franzese”. Essi possono essere sinteticamente riassunti come segue:
- sussiste nesso causale qualora, in base ad un giudizio controfattuale basato su una generalizzata regola di esperienza o una legge scientifica - universale o statistica -, risulti che, ipotizzandosi come attuata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento, l’evento stesso non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva;
- il coefficiente di probabilità derivante dalla legge statistica deve essere verificato alla luce della specificità del caso concreto affinché, esclusa l'interferenza di fattori alternativi, risulti “giustificata e processualmente certa” la conclusione che la condotta omissiva è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”;
- sussistendo ragionevole dubbio sul reale e concreto rilievo causale della condotta omissiva rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento, l'esito del processo deve essere assolutorio.
La Corte si esprime come segue: “L'articolato percorso motivazionale seguito nella sentenza Franzese, induce a ritenere che le Sezioni Unite, nel sottolineare la necessità dell'individuazione del nesso di causalità in termini di "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica", abbiano inteso riferirsi non alla certezza oggettiva (storica e scientifica), risultante da elementi probatori di per sé altrettanto inconfutabili sul piano della oggettività, bensì alla "certezza processuale" che, in quanto tale, non può essere individuata se non con l'utilizzo degli strumenti di cui il giudice dispone per le sue valutazioni probatorie: "certezza" che deve essere pertanto raggiunta dal giudice valorizzando tutte le circostanze del caso concreto sottoposto al suo esame, secondo un procedimento logico - analogo a quello seguito allorquando si tratta di valutare la prova indiziaria - che consenta di poter ricollegare un evento ad una condotta omissiva "al di là di ogni ragionevole dubbio" (vale a dire, appunto, con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica")” […] “Corretto è il riferimento che si opera in ricorso al dictum di questa Sez. 4 n. 24922 del 15/3/2019 … In quel caso - come in quello in esame - la motivazione dei giudici del gravame del merito si palesava carente e non conforme ai principi di diritto, in tema di accertamento del nesso di causalità, con specifico riferimento all'ambito della colpa medica, nella parte in cui i giudici di merito si erano limitati a sostenere che una corretta diagnosi dei medici, nelle date indicate, avrebbe consentito di salvare la vita alla persona offesa in termini di "elevata probabilità ed in particolare in termini maggiori del 59%", secondo quanto riferito dai consulenti tecnici del PM. Ebbene, correttamente quella affermazione venne ritenuta chiaramente erronea, oltre che manifestamente illogica e contraddittoria, essendo "evidente che una percentuale intorno al 59% non può costituire indice di elevata probabilità di sopravvivenza, non fosse altro perché residuerebbe una altrettanto percentuale di morte della paziente pari al 41%. In quel caso, come in quello in esame - in cui, peraltro, il dato statistico è anche più basso (il 50%) ed attiene ai pazienti non trattati - l'argomentazione adottata dalla Corte territoriale aveva trascurato di considerare i precisi insegnamenti della giurisprudenza di legittimità in tema di nesso causale riguardo alla necessità di corroborare i dati statistici provenienti dalle leggi scientifiche utilizzate, con precisi elementi fattuali di carattere indiziario idonei a comprovare con elevato grado di credibilità razionale che una tempestiva diagnosi dei medici avrebbe certamente salvato la vita della paziente” (Cassazione penale sez. IV, 27/01/2022, dep. 01/03/2022, n. 7099, fonte De Jure).
Una riflessione è opportuna sul fatto che, pur a distanza di 20 anni dalle Sezioni Unite Franzese, con una certa frequenza continuino a verificarsi situazioni concrete nelle quali dopo una “doppia sentenza conforme” (in primo grado e in appello) la Cassazione intervenga censurando il malgoverno da parte dei giudici di merito dei principi in detta sentenza espressi.
È condiviso a tutti i livelli – in dottrina e giurisprudenza – che il solco tracciato in materia dalla sentenza Franzese debba rappresentare tutt’oggi “la guida” (e non semplicemente una guida) e che gli insegnamenti in essa contenuti siano chiari e solidi, eppure all’atto pratico l’area della causalità omissiva impropria rimane non pienamente afferrabile nei suoi esatti confini.
Ciò è connaturato al giudizio controfattuale, a maggior ragione in un contesto – quello della scienza medica – in cui le variabili e le combinazioni causali sono tali e tante da mettere potenzialmente in discussione l’attendibilità di un qualsiasi dato statistico (purché non assoluto).
Il problema aperto, volendo guardare alla questione con obiettività, è che la “credibilità logica” e quella “razionale” sono indici ben meno verificabili rispetto ad una nitida percentuale di probabilità di verificazione (o non verificazione) di un certo evento.
La persuasività, la coerenza, la logicità e la razionalità della motivazione, prima del perito (non potendosi facilmente pensare ad un processo in ambito medico-chirurgico che prescinda dalla perizia) e poi del giudice, finiscono per essere il fattore determinante, se non esclusivo, nella risoluzione del caso.