Torna al magazine 07/09/2020 Persona

Cosa dice la legge in materia di bullismo a scuola?

Il fenomeno del bullismo a scuola è diffuso tra gli adolescenti e i giovanissimi. Le istituzioni si sono attivate con campagne di sensibilizzazione con gli allievi delle scuole italiane in spot, cortometraggi e altre iniziative per affrontarlo e condannarlo.
sfondo casi risolti

Sensibilizzare è la parola d’ordine

Il bullismo a scuola viene combattuto soprattutto con l’istruzione e la cultura, con l’educazione civica e la messa in pratica dei valori democratici e liberali della Costituzione.

Anche il legislatore è intervenuto disciplinando, con la legge del 29 maggio 2017 n. 71, la variante del “cyberbullismo”, ossia quando il “bullismo” viene praticato attraverso la condivisione delle informazioni personali su internet e sui “social”.

In generale, però, i comportamenti classificati come “bullismo” trovano sanzione e repressione penale ancora una volta attraverso l’applicazione di norme ordinarie previste per altre tipologie di reati, tra i quali:

  • percosse, violenza privata, lesioni;
  • minaccia, diffamazione, molestia;
  • estorsione, induzione al suicidio;

Le statistiche dicono che (sondaggi eseguiti tra il 2001 e il 2014, fonti varie):

  • il 50% degli 11-17enni ha conosciuto almeno un caso di bullismo;
  • sono colpite più le femmine (20,9%) che i maschi (18,8%);
  • il fenomeno è diffuso più al nord (57%) che al sud;
  • il fenomeno colpisce più i licei che le scuole di formazione professionale;
  • il bullismo viene perpetrato soprattutto in aula (27%) o in autobus per recarsi a scuola (22,9%);
  • fenomeni di bullismo avvengono anche nei corridoi della scuola (14%) o in cortile durante la ricreazione (16%);

Si tratta di un fatto preoccupante che nasce soprattutto negli ambienti scolastici e dalla scuola parte la risposta di prevenzione ed educazione culturale.

Le domande che è legittimo porsi in tali frangenti riguardano tre ambiti di delimitazione del fenomeno:

  1. come riconoscere il bullismo;
  2. chi è responsabile del bullismo;
  3. imputabilità del “bullo”.

Come riconoscere il bullismo

Non qualsiasi comportamento offensivo caratterizzato da parolacce o insulti integra il “bullismo”. Razionalmente, potrà integrare un altro comportamento illecito o illegittimo, ma non il “bullismo”. Perché sia tenuta una condotta qualificabile come “bullismo” occorre che:

  1. sistematicità/ripetitività: la vittima è un soggetto ricorrente, bersaglio di atteggiamenti persecutorio/vessatori, che si ripetono nel tempo;
  2. asimmetria di potere/coercizione di potere: da parte di un coetaneo in posizione di forza (“bullo” o “branco”) nei confronti di una vittima isolata e ricorrente;
  3. intenzionalità della condotta: aggressione fisica/verbale ovvero derisione/diffamazione perpetrata con intento lesivo/offensivo.

Chi è responsabile del bullismo

Esiste una responsabilità anche penale che è personale e che analizzeremo al punto successivo ed è la responsabilità dell’autore materiale del comportamento aggressivo. Sussiste, però, anche una responsabilità oggettiva, che prescinde dalla colpa, e che attiene piuttosto alla c.d. “culpa in vigilando/organizzando”. È la responsabilità ai sensi dell’art. 2048 cod. civ., la responsabilità del precettore e dell’insegnante per non aver saputo prevenire il fatto. L’unica esimente concessa è la prova liberatoria a carico del docente/preside di non aver potuto impedire il fatto.

Imputabilità del “bullo”

L’ordinamento processuale penale italiano non permette di imputare in un processo un soggetto minore d’età. Più precisamente, occorre distinguere a seconda che il “bullo”:

  1. abbia un’età inferiore ai 14 anni: in questo caso l’esonero della responsabilità penale è totale perché si presume che l’immaturità psicologica del soggetto gli impedisca di percepire la gravità della condotta. In tali casi, la responsabilità potrà essere solo dei genitori o degli organismi scolastici in base a quelle considerazioni che si sono fatte sopra;
  2. abbia un’età ricompresa tra i 14 e i 18 anni non compiuti: in questo caso, l’adolescente è imputabile processualmente se viene accertata la sua capacità di intendere e di volere. Diversamente, verrà trattato come nel caso precedente e, quindi, con affidamento ai servizi sociali per la rieducazione e la libertà vigilata.

“Prendere in giro” un coetaneo non è né uno scherzo né un gioco: dietro l’apparenza di un litigio tra amici, si annidano spesso disagi sociali e intenti microcriminali che vanno debellati con la denuncia e l’intervento repressivo delle autorità, ma soprattutto con la cultura dell’inclusione e del rispetto, che la scuola e l’educazione familiare devono essere in grado di infondere e trasmettere.

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