Torna al magazine 02/08/2021 DASapere

Inclusione e fiducia: dati numerici del dibattito socio-culturale in Italia

La parità di genere sembra aver imboccato negli ultimi tempi una direzione nuova, che dovrebbe favorire un salto definitivo all’inclusione femminile nel mondo del lavoro.
sfondo casi risolti

Il dibattito è, purtroppo, ancora in parte solo accademico e, se in Italia si proseguirà con i ritmi del passato, saranno necessari ancora 60 anni perché il “gender gap” possa considerarsi superato. Infatti:

  • in più di quarant’anni, dal 1977 al 2018, il tasso di occupazione femminile in Italia è aumentato di appena 16 punti percentuali passando dal 33,5% al 49,5%;
  • l’Italia è al quattordicesimo posto in Europa sui temi della diversità e dell’inclusione;
  • per le donne, il rischio della fuoriuscita dal mercato del lavoro è di 1,8 volte superiore rispetto alla controparte maschile (fonte: “La Repubblica”, anno 2020).

Inclusione femminile: da obbligo normativo a valore strategico

Ad indurre gli osservatori più attenti ad una svolta nell’approccio tradizionale a tali tematiche, si pongono da un lato i dati numerici, dall’altro la maturazione del dibattito socio-culturale, che si è affrancato sempre di più dal tema delle “quote rosa” e delle altre misure “protezionistiche” a salvaguardia del minimo di legge di presenza femminile negli incarichi rappresentativi ed istituzionali.

 - Infatti, il 51% della popolazione italiana è composta da donne, che primeggiano altresì nei titoli di studio di livello superiore (22,4% di donne laureate rispetto al 16,8% degli uomini: fonte Istat, anno 2019).

 - Il tasso di occupazione femminile è inferiore di oltre 20 punti percentuali rispetto a quello maschile e si attesta intorno al 56,1% contro il 76,8% degli uomini (fonte: Ansa, luglio 2020).

 - La cultura dell’inclusione si manifesta soprattutto nella possibilità di esprimersi apertamente piuttosto che in calcoli percentuali sul totale delle donne assunte rispetto agli uomini o sul totale delle donne con incarichi manageriali rispetto ai quadri e ai dirigenti uomini.

Non solo. Anche i dilemmi sull’uso di parole e di formule inclusive, sull’uso del femminile grammaticale per indicare ruoli e titoli, finiscono per diventare questioni dogmatiche sterili ed improduttive poiché ciò che fa la differenza in un sistema economico (e nel mondo del lavoro) è il fatto che i migliori talenti abbiano la possibilità di affermarsi liberamente a prescindere dalle questioni terminologiche e lessicali.

Osserva a tal riguardo Miriam Frigerio (Head of Brand & Communication di Sorgenia S.p.A. in “Insurance Review”, n. 83, aprile 2021, specie pagg. 12-13) che precludere alle donne parità di condizioni nell’accesso al lavoro comporta un danno macroeconomico inestimabile per il PIL nazionale non foss’altro per il fatto che “escludere la metà delle risorse intellettuali e produttive di un paese significa dimezzarne le potenzialità (produttive)”: un’istanza sociale che diventa, quindi, anche un’urgenza economica.

 

Parity & Trust Index: il valore della fiducia oltre il genere

Una delle più rinomate società di consulenza organizzativa in ambito di risorse umane ha elaborato dei parametri di “Parity Index” e di “Trust Index” per monitorare il livello di equità tra generi e il livello di fiducia percepito all’interno di un’azienda. Come annunciato sopra, sembra essere questa la nuova chiave di lettura per riaffermare il ruolo della donna lavoratrice rispetto all’uomo lavoratore ossia il superamento della contrapposizione sociologica uomo-donna per fare spazio unicamente al concetto di valore.

 - “Parity Index”: possibilità di permessi per assentarsi dal lavoro; smart working; congedi parentali; contrattazione di secondo livello; welfare aziendale; asili nido aziendali; retribuzioni perequate a parità di mansioni; equità nelle promozioni e negli avanzamenti di carriera; assenza di favoritismi; imparzialità legata al merito; ecc.

 - “Trust Index”: percezione dei sentimenti di motivazione; coinvolgimento; fiducia; ecc.

In particolare, emerge una correlazione biunivoca tra i primi e i secondi e la chiave per affrontare la questione dell’inclusione femminile (e della “diversità” in generale) pare essere quella della fiducia: più questo sentimento è valorizzato e condiviso a livello aziendale e più risulterà agevole favorire l’accesso al lavoro e alle cariche apicali a prescindere da tematiche di genere.

Il sentimento “fiducia” si snoda su tre livelli e i sondaggi confermano che le aziende che riescono ad applicare questo modello valoriale hanno maggiori possibilità di performance economiche superiori rispetto a competitori che non lo adottano:

1. la relazione di fiducia reciproca con il management aziendale: i valori che emergono sono quelli della credibilità, del rispetto e dell’equità;

2. il sentimento di attaccamento per il proprio lavoro e per l’organizzazione di cui si è parte: orgoglio;

3. la qualità dei rapporti con i colleghi: coesione;

Viste da questa prospettiva, le questioni sull’empowerment femminile diventano questioni valoriali e non semplicemente di genere perché più che misurare il grado di inclusività di un’azienda occorrerebbe domandarsi come vivono le persone sul luogo di lavoro e in che modo l’azienda sia in grado di valorizzare concretamente il sapere dei propri dipendenti.

La conciliazione degli impegni familiari senza preclusioni di opportunità di carriera è resa possibile dal forte senso di fiducia che lega il lavoratore e la lavoratrice al management e viceversa, mentre il senso di appartenenza (employer branding), la responsabilità per il proprio lavoro e la coesione tra colleghi di un team favoriscono comportamenti virtuosi che facilitano tale conciliazione.

 

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